Prendersi cura vuol dire mettere in relazione più elementi che tra loro formino una sinergia (un circolo virtuoso) e che questo produca un miglioramento o una soddisfazione a chi pone in atto la cura.
Quando ci prendiamo cura di noi stessi o curiamo qualcuno, mettiamo un attenzione particolare almeno ad un aspetto (quello da curare), prestiamo e dedichiamo particolare attenzione a ciò che in quel momento vorremmo migliorasse la sua condizione. Per fare questo mettiamo più soggetti (cose) in relazione tra loro al fine di trovare la giusta sinergia. Naturalmente non ci sono limiti al soggetto di cura a cui faccio riferimento.

Quando ci si prende cura dell’altro, che ne siamo consapevoli oppure no, stiamo cercando di curare anche qualcosa di noi.
La cura è relazione e questa include sempre l’”io”ed il “noi” anche quando la cura è diretta a qualcun altro o qualcos’altro.
La ricerca di nuove soluzioni crea relazioni tra il nostro desiderio di prenderci cura e ciò che vorremmo riparare, migliorare, restituendo a noi e al mondo qualcosa di diverso e, se avremo lavorato bene, sarà qualcosa di migliore.
Cosa ci può spingere a prenderci cura di qualcuno o qualcosa ? Può essere un vuoto sentimentale o una ferita da guarire, oppure si vuole curare qualcosa di più profondo, il proprio sé (anima), ma anche una malattia organica, chi cura cerca qualcosa o qualche parte di sé.
La relazione nella cura, cioè il mettere insieme le cose in un ordine nuovo, può avvenire nei modi più disparati.
Ognuno parte da ciò che pensa di avere, da dove si trova in quel momento e si mette in viaggio. Il termine viaggio viene usato come metafora perchè contiene quegli elementi di chi cerca, cioè lo spostamento, la curiosità, la necessità, l’altrove (luogo, sapere, distacco e ritrovo). Il viaggio può essere geografico, cioè alla visita, l’esplorazione, la ricerca di oggetti o persone da incontrare o ritrovare in un luogo lontano da casa; chi viaggia per ritrovarsi a casa tra i suoi affetti e oggetti famigliari, chi viaggia nei della cultura, cioè accumula e stratifica conoscenze in ogni ambito del sapere e ancora ad oggi cresce il numero di Cyber-viaggiatori, dove la dimensione spazio-tempo si adegua alla nostra capacità/desiderio di viaggiare.
Oppure, ancora, può essere una malattia che ci costringe a pellegrinare tra ambienti sanitari cercando risposte concrete ed efficaci per guarire o avere ciò che stiamo cercando (chiedo scusa per la semplificazione a chi affronta con coraggio e determinazione questo genere di viaggio).
Ancora una “categoria” composta da tutti noi ma anche da chi non compie viaggi da raccontare perchè non se lo può permettere e parlo del viaggio principale: la dura quotidianità dove gli orizzonti sono lontani o nascosti e, ancora, a chi non esercita un lavoro di cura ma si prende cura dell’ambiente, della società.
Qualsiasi sia il punto di partenza, qualsiasi sia il nostro punto di prospettiva, possiamo trovarci a dedicare attenzione e tempo alla cura di qualcosa o di qualcuno e, siccome noi siamo sempre un soggetto chiamato in causa, un piccolo promemoria : “ascolta”, può essere utile.
L’ascolto mi suggerisce l’immagine dell’imbuto, cioè uno raccoglitore di cose fluide, che scorrono e che travasano qualcosa da un ambiente ad un altro ma se quello che viene versato può essere abbondante, in base alla capacità dell’imbuto, ciò che viene travasato nell’altro contenitore arriva per una via più stretta anche se il contenitore che lo accoglierà è grande.
Per ascoltare bisogna fare silenzio, da qualche parte, nei nostri pensieri, così come accade per il cono dell’imbuto, un piccolo rallentamento, lasciando sedimentare un attimo se ciò che arriva è denso, lasciando gorgogliare se ciò che arriva è giocoso.
Cosa dovremmo ascoltare non si può né si deve insegnare, si dovrebbe imparare ad ascoltare “di tutto”, perchè è ”di tutto” che siamo fatti, “tutto” ci appartiene e l’ascolto serve per capire quali sono i nostri confini di questo”tutto”.
Con l’ascolto scopriamo il dentro, il fuori, il passato, il presente, il futuro, l’a/Altro simile o trascendente, ciò che non è comprensibile perchè è folle e ciò che è incomprensibile perchè è presto, scopriamo storie, racconti, vissuti, bugie e verità; ascoltando costruiamo castelli di fantasia e relazioni che durano tutta la vita; ascoltando diventiamo amici e nemici, favorevoli e contrari; scopriamo ciò che è mio, di cui devo prendermi cura e ciò di cui non mi devo più occupare, quindi lasciare andare.
Ascoltare ci aiuta a comprendere, a discernere la realtà che ci sta intorno, dalla più piccola di un luogo sperduto agli scenari mondiali.
Ascoltare ci aiuta a fare quel percorso di vita che ci aspetta, senza conoscere la sua fine, l’ascolto di ciò che è intorno a noi ci aiuta a sconfiggere la paura quotidiana e atavica dello sconosciuto, dell’incerto che resterà tale perchè la vita va vissuta e nessuno ce la potrà mai raccontare, ma l’ascolto e la conoscenza che ne consegue rende più sopportabile il suo mistero.
Ascoltare è utile facendo un pò di spazio a ciò che potremmo trovare, possibilmente lasciandoci sorprendere quando arriverà qualcosa di nuovo o andando via ringraziando quando le parole o visi o luoghi o scenari sono ridondanti, cioè al momento vuoti e privi di contenuti.
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