Non è facile usare una parola così impegnativa,il perdono richiama un precetto religioso, perdonare qualcuno richiede da parte di chi perdona una grande generosità e da chi viene perdonato ci si auspica gratitudine, assunzione delle proprie responsabilità, comprensione dell errore o della mancanza procurata. Perdonare se stessi sembrerebbe più facile, con i propri errori potremmo essere più indulgenti ma spesso non è così. Chiedere perdono è un riconoscimento delle proprie responsabilità , del crescere perché si riconosce qualcosa di sé, dell’altro, di ciò che era sconosciuto.

Ma cosa c’entra il perdono nella cura? 

Prendersi cura di sè, degli altri vuol dire accettare di imparare a conoscere, conoscere e riconoscere ciò che ci sta davanti o dentro. Solo la conoscenza può portare il dono della cura.L’offesa, il peccato,la mancanza hanno il solo compito di introdurci in una dimensione o semplicemente in una situazione che ci era sconosciuta o non compresa.

Quando ci prendiamo cura di noi, degli altri, entriamo nella complessità ,in ciò che è in divenire, ci troviamo dentro a situazioni che non prendono forme definite o volute ( dalla malattia organica, al mondo emotivo che per sua definizione è in continuo movimento, oppure situazioni , relazioni,progetti che cercano una loro modalità di costruire)altresì ci troviamo in un momento di caos , di impossibilità di definire ciò che sta accadendo. 

Il perdono così può diventare non un precetto, un dovere morale ,una vocazione, ma una necessità per comprendere cosa abbiamo difronte e sempre potremmo scegliere se dobbiamo prendercene cura perché ci appartiene, ci serve ,e quindi entrare nel merito , oppure dobbiamo passare oltre e il nostro perdono (lasciare che sia)ci libererà la strada da ostacoli che non sono nostri.